Pian dul Scricc         

 Pian dul Scricc  (Tratto dal libro: SUSSURRI NEL VENTO di Luciana Rigoni )

Fra la metà del 1300 e la fine del 1400 i rapporti di vicinato tra la Valle Divedro e il Vallese, non erano certo fra i più idilliaci.
Ricorrenti scorrerie da ambo le parti per razziare il bestiame, rubare il legname o far man bassa sugli alpeggi, portava ad inevitabili rappresaglie con incendi, distruzioni e, a volte, anche qualche morto.
Intorno agli anni 60 del XV secolo, una squadraccia di Vallesani, scesi a Veglia, dopo aver depredato e distrutto alcune casere e aver avuto uno scontro cruento coi Valdivedrini, ritornò sui suoi passi, lasciando però sul campo un caduto fra le loro file. Pochi giorni dopo, i Vallesani ritornarono a vendicare l'omicidio subìto in Val Divedro e incendiarono, saccheggiarono e uccisero. A questo punto dovettero intervenire le autorità che avevano giurisdizione sui due versanti.

La Valle Divedro apparteneva al Duca di Milano Galeazzo Maria Sforza che aveva in Ossola i suoi luogotenenti. Il Vallese era sotto il comando del Vescovo di Sion, che all'epoca era quel Matteo Schinner, divenuto poi Cardinale, originario di Ernen nella terra di Goms.

 Il Duca di Milano e il Vescovo di Sion, diedero ordine ai Consoli valdivedrini e ai Consiglieri vallesani, di nominare una delegazione di uomini d'ambo le parti, che avrebbero dovuto incontrarsi a metàstrada dai rispettivi paesi e quivi sottoscrivere un trattato che impegnava le parti, al reciproco rispetto delle persone, degli animali, delle cose e dei territori.

  
Mateo Schiner
  
G.M. Sforza

I Consoli valdivedrini, riunitisi a Consiglio, nominarono: Deverino Gatti di Trasquera, Pietro Cocco di Schiaffo, Guglielmo Porta di Fontana e Giovanni Tinara di Veniullo. I Vallesani prescelti per la missione di pace, furono: Kurt Imhof e Matteus Tebisch di Binn, Helmut Clausen di Ernen e Josef Arnold di Simplon Dorf. Il giorno dell'incontro fu fissato per il primo di luglio e il luogo, un punto nel territorio dell'Alpe Veglia, circa a metà strada fra la Val Divedro e il Vallese.Alle prime ore del mattino del giorno stabilito, le due squadre di uomini, si misero in cammino. Era una notte calma e limpida. Le  stelle brillavano in un cielo terso, che gradatamente acquistava una luminosità di perla. I due uomini di Varzo, incontrarono i due di Trasquera in fondo ai prati di Nembro e iniziarono a salire per il sentiero di Ciaspariôi. Arrivati in Sola, riposarono un momento, mangiarono un tozzo di pane con formaggio, bevvero un sorso d'acqua e iniziarono a salire verso il Croppallo. In basso, la Cairasca luccicava nella luce dell'alba.

Raggiunto il Passo Ritter, furono avvolti dai caldi raggi del sole. Si fermarono seduti sui sassi e ripresero fiato. Anche loro ammirarono il panorama meraviglioso delle cime dal Rebbio al Leone sulla destra; mentre alla loro sinistra potevano vedere contro il sole, il Pizzo del Moro, il Valtendra e giù in basso, prati pianeggianti su diversi gradoni, fino al piano di Veglia. Decisero di iniziare la discesa sapendo che fra non molto, avrebbero incontrato la delegazione valdivedrina e l'inviato del Sempione.

Arrivati a Pian d'Erbiôi, scesero al Lago Bianco. Qui trovarono Josef Arnold che, arrivato sulle rive del lago, aveva già mangiato pane e pancetta e stava riposando crogiolandosi ai caldi raggi del sole. Dopo una pausa, i quattro piegarono verso Pian Sas Mor e  continuarono la discesa. Ora i Valdivedrini, avevano invece ricominciato a salire. Il sole riscaldava loro le schiene; una certa impazienza si era impadronita di loro e nessuno aveva più voglia di chiacchierare. mentre avanzavano nel bosco, uno scoiattolo fece capolino dietro il tronco di un larice e subito si nascose alla loro vista, saltando veloce fra i rami, quasi giocasse a rimpiattino. Una lucertola beatamente immersa nel tepore del sole che riscaldava un sasso, zigzagò via fra le pietre della morena. Ma ognuno degli uomini era immerso nei suoi pensieri e non prestava troppa attenzione a ciò che lo circondava. Improvvisamente davanti a loro si aprì un grande pianoro che si estendeva fino ai contrafforti del Lago Bianco.

Ricco di larici e di acque, era un rigoglioso e vasto pascolo. Si fermarono e si guardarono attorno. In fondo al piano scorsero quattro punti neri che si ingrandivano e si avvicinavano: capirono che erano i Vallesani che scendevano nei prati. Si mossero verso di loro attraversando il Rio Frova e si incontrarono a meta del piano, in prossimità di enormi i massi erratici, pianeggianti come tavoli giganteschi. Si salutarono con una punta di diffidenza tipicamente montanara e si scambiarono poche parole: gli uni in dialetto dvarun; gli altri in lingua walser ma da ambo le parti comprensibili per la lunga consuetudine nei rapporti vicinali.

Altrettanto fece l'anziano Valdivedrino, srotolandolo da un involucro di ruvida tela. A turno, ognuno di loro lesse, nella sua lingua, il trattato di pace che doveva essere sottoscritto. Poi, gli otto uomini, apposero le loro firme sulle due pergamene, servendosi di piccoli recipienti accuratamente sigillati con ceralacca, in cui era custodito un nero succo di sambuco appositamente preparato e trasportato fin lassù, e di alcune penne d'oca ben appuntite.
Ora il trattato era valido a tutti gli effetti. Si strinsero scambievolmente la mano ed estrassero dai saechi, fiasche di vino e di acquavite per festeggiare l'avvenimento. Si sedettero sui grossi massi e consumarono un frettoloso e frugale pasto.
Ormai il sole aveva passato lo Zenit ed era ora di incamminarsi per il ritorno.
I Valdivedrini scesero velocemente a Veglia, poi a Nembro. La tensione della giornata si era allentata, sciogliendo le loro lingue. Ora ognuno aveva da esporre agli altri i propri sentimenti e le proprie impressioni. Erano euforici e camminavano veloci scambiandosi battute intercalate da allegre risate. Infine si divisero: chi per Varzo e chi per Trasquera. Il loro compito era felicemente concluso.


I Vallesani risalirono fino al Ritter Pass e iniziarono la discesa su Binn. Anche il Sempionino era con loro perché avrebbe approfittato della loro ospitalità aspettando un carretto che l'avrebbe trasportato fino a Briga. Da lì, con calma e chiedendo un passaggio a qualche cavallante, sarebbe risalito al Kulm e finalmente, dopo l'ultima discesa, sarebbe stato di nuovo a casa al Dorf.

Anche i Vallesani avevano molte opinioni da scambiarsi ed erano diventati insolitamente loquaci.

La sera li colse seduti a un tavolo, attorno ad un fiasco di “fendent” a ripercorrere gli avvenimenti della giornata. 

Gli storici non ci dicono per quanto tempo quel trattato fu rispettato dai contraenti, ma sappiamo per certo che il luogo in cui fu siglato quello scritto, da quel giorno, in Valle, fu chiamato "PIAN DUL SCRICC" e a tutt'oggi, dopo cinque secoli, porta ancora quel nome.